Il ricordo di Vincenzo Stranieri: «Fu un emigrante meridionale, ma era un siciliano vero» «Un narratore più che un romanziere»

 

Un intellettuale che usava un “giuoco” stilistico volutamente grottesco

 

Cordoglio per la scomparsa del grande scrittore siciliano

 

di VINCENZO STRANIERI

 

Mi ha sempre incuriosito Vincenzo Consolo. Ho sempre guardato alla sua scrittura,al suo modo di trasfigurare,con grande maestria, le vicende

del suo narrare. Credo fosse più un narratore che un romanziere, infatti. Appartiene ad una particolare categoria di scrittori: quella che lascia il luogo natio per necessità, che può essere dettata sia da motivi prettamente culturali, nel senso che bisogna allontanarsi per guardare  con maggiore obiettività la terra madre, oppure, contestualmente, anche per provvedere al proprio sostentamento lavorando. Consolo, laureato in filosofia, ha fatto l'insegnante per vivere. Pochi, come si sa, sono gli scrittori in grado di vivere per mezzo della sola scrittura. Un lavoro normale. Un lavoro nel Nord Italia, come tanti emigranti meridionali. Era un siciliano vero, Vincenzo Consolo. Tutta la sua produzione letteraria è fortemente impregnata dall'isola dove nacque nel 1933. Le pietre di Pantalica - a esempio- narra della sua Sicilia contadina, di un mondo sparito nel fondo ventre del mutamento dei tempi. Ma egli non si lascia prendere da sterili nostalgie,non va alla ricerca del tempo perduto; coltiva memorie, narra le fattezze di un mondo

che, trasfigurato ma non necessariamente mitico, sorregge le sue lunghe giornate avvolte dalla nebbia nordica. Milano, però, non è una città matrigna, al contrario lo ha accolto benevolmente, lo ha aiutato ad edificarsi scrittore. Tuttavia,come egli stesso ricorda in un'intervista rilasciata a Natalia Aspesi, “A Milano fu lo spaesamento. Sono rimasto tredici anni senza scrivere, perché io volevo raccontare quel nuovo con la lingua nuova, ma mi mancava la memoria della città, dei luoghi, delle persone, della fabbrica. Io venivo da una realtà contadina, ero fatto di siciliani, quel che succedeva nel nord mi entusiasmava ma non sapevo dirlo. Seguivo le assemblee e soffrivo perché non capivo niente, non avevo alcuna esperienza politica, non avevo l'anima del militante, partecipare ai cortei mi imbarazzava, ero un siciliano fuori posto, che si indignava e non combinava niente. Soprattutto non scriveva, se non sui giornali,e non riusciva a rappresentare quegli anni che vivevo e mi sfuggivano…”. Ritrovo un mio vecchio appunto.

Alcune volte mi è sembrato che il linguaggio di Vincenzo Consolo (vedi Lunaria) è forse la dimostrazione di un “giuoco” stilistico volutamente grottesco, fin troppo il are per essere accettato in assenza di perplessità. Le parole di Consolo non sorridono, ma ridono, sollazzano sul disegno umano dell'esistenza, giocano come esperti trampolieri che guardano le cose dall'alto perdendo così di vista le altre possibili prospettive, i punti di vista che significano uomini e cose. La trasfigurazione della realtà è il segno di una sconfitta intellettuale, la malcelata avversione per la cosiddetta realtà quotidiana? Eppure

Consolo è uno scrittore di grande spessore, un intellettuale fine e profondo. Non giuoca per giuocare. Comunque sia, alla fine di ogni suo libro, nonostante la scrittura “lieve” e “gentile”, mi ritrovo smarrito. Oppure sono io a credere in un impegno artistico che non s'infranga sugli scogli appuntiti di sperimentalismi estremi che, senza volontà, tolgono alla parola il respiro epocale, il sapore delle cose ritrovate, l'incanto per la vita trafitta dal mistero, il piacere, intimo, di trovare nel segno scritto un punto fermo di vita, il sogno di quando monti e pianure sono sferzate da un vento leggero che porta con sé parole mai mute. Eppure Consolo è uno scrittore non precisamente “sperimentale”. Non cerca una scrittura “ribelle”, uno spazio per sé nel marasma della scrittura odierna. Dicevo della sua avversione per la realtà quotidiana (la miseria quotidianità?) del fatto che dalla sua finestra il paesaggio umano è mutato e i suoi occhi (di Consolo) s'infrangono nel vuoto. E allora perché rispecchiarsi in tale vita, perché darle in prestito la propria scrittura? Ciò è storia, non letteratura. tali frangenti hanno da sempre determinato i grandi artisti che alla realtà quotidiana, spesso sciatta e informe, hanno frapposto la “loro”realtà di cultura. E Consolo, quale arte va costruendo con la sua scrittura amara e ilare, e a quale realtà egli s'oppone? E'un linguaggio particolare,quello di Consolo. Un modulo stilistico costruito parola dopo parola, frutto di un lavoro duro ma proficuo. Credo di non avere capito appieno la sua opera, forse mi

sono lasciato confondere dalle sue particolari atmosfere: magiche, folli, visionarie, spesso volutamente irreali, pregne di allegorie mimetizzate nei volti, nelle vicende che vedono come protagonisti personaggi mai pacificati, sempre alla ricerca spasmodica di risposte. Per capirlo dovrò di certo rileggere le sue.

 

LA SCOMPARSA DI VINCENZO CONSOLO

di Margherita Ganeri

 

LE BATTAGLIE DELL'IGNOTO MARINAIO

di Mario Baudino (La Stampa)