Draquila si ferma in Calabria

Nel doc della Guzzanti immagini girate a Cavallerizzo dal cosentino Donadio

 

Cavallerizzo (Kajverici in albanese) appare nel docufilm “Draquila” di Sabina Guzzanti, fuori concorso al festival di Cannes e nelle sale italiane dopodomani. Sabina ha utilizzato le immagini del “Santo delle rovine”, il ritorno alla strana normalità del centro arbereshe calabrese filmato dal documentarista dell’università della Calabria, Gianfranco Donadio, all’interno di “Impressioni meridiane”, i suoi appunti audiovisivi presenti anche su Youtube.  Il viaggio di Donadio a Cavallerizzo ricostruisce la voglia di una comunità di tornare alla vita di tutti i giorni, di rioccupare luoghi e spazi sottratti al quotidiano. E così la festa di San Giorgio (patrono del paese) diventa l’occasione per rinsaldare i legami di un piccolo centro che non ci sta ad essere estirpato dal suo alveo. Malgrado un’ordinanza esplicita, un diveto di entrare nella “zona rossa” (un po’ come successe nel G8 di Genova), gli abitanti di Cavallerizzo varcano il confine imposto da leggi ingiuste nella loro percezione. Percezione legata a un cuore che continua a pulsare in quei luoghi solo in parte distrutti dalla frana del 2005.
Non tutto il paese è venuto giù, soltanto la parte nuova.
La vicenda somiglia alla storia di Antigone nella omonima tragedia di Sofocle. Una difficile contesa tra leggi scritte e leggi non scritte. Conflitto insanabile rappresentato anche dalla battaglia condotta da “Cavallerizzo vive” (Kajverici Rron), associazione contraria in maniera tassativa, come tutti gli abitanti del resto, alla “delocalizzazione”, parola con la quale non si indica l’ennesima trovata leghista in tema di federalismo. Delocalizzazione è il fantasma che fa paura a questa gente, incapace di pensarsi e vivere nelle nuove unità abitative occupabili forse dall’anno prossimo. Cosa succede nel cuore pulsante di questo microcosmo fatto di rapporti di parentela, vicinato (ghitonìe), amicizia e condivisione di valori comuni? Emblematico il pianto di un abitante di Cavallerizzo nel lavoro di Donadio mentre guarda la sua nuova dimora e pensa alla vecchia casa dove vive ancora la sua storia e i suoi affetti. Dramma insanabile, ennesimo esempio di un’Italia in preda al dissesto idrogeologico, in grado di reagire nel tipico modus operandi dello spot elettorale, con misure d’urgenza non pensate e frettolose. Ma i problemi rimangono.
Cavallerizzo è un provincia sperduta dell’Impero, e nel mare magnum mediatico quasi non fa notizia, purtroppo. Lo stesso non può dirsi del terremoto de L’Aquila, altro dramma in cui i cittadini hanno varcato la loro “zona rossa” per cercare di rimettere in piedi una situazione di stallo lontana dai proclami altisonanti del governo Berlusconi.
La Guzzanti, nel suo “Draquila”, racconta a suo modo, con le armi affilate della satira   e dell’invettiva, quella invisa al potere (castigat ridendo mores), la lunga notte della capitale d’Abruzzo. Una notte senza sogni in cui ci si risveglia ancora tra le macerie, ascoltando in tv e sui giornali promesse puntualmente non mantenute o mantenute in parte. Gran ciambellano di questo teatrino mediatico è ovviamente Silvio Berlusconi, bersaglio prediletto ormai da molti anni nel copione di Sabina: il premier volle a tutti i costi spostare il G20 dalla Maddalena a L’Aquila. Giorni di gloria tra i monti d’Abruzzo, con la star del momento, Barak Obama, capofila dei grandi del pianeta risoluti nell’elargire (a parole) fondi a iosa. Non si contarono gli impegni presi. Zapatero assicurò di ricostruire a spese della Spagna le tracce del dominio iberico. Tutto cadde poi nel dimenticatoio, come tante vicende italiche.
Le cronache dei nostri giorni registrano, invece, la prima versione contraria dei fatti narrati dalla Guzzanti. «In un festival del cinema si parlerà di nuovo dell’Aquila - ha detto il capo della Protezione civile, Bertolaso - e si presenterà una verità, che però non è tutta la verità e non faremo, credo, temo, come Italia, una gran bella figura a Cannes».  Ma proviamo a chiedere agli abitanti de L’Aquila e a quelli di Cavallerizzo la verità?
Per loro non è una questione di “bella figura”.
C’è da starne certi.

(Pubblicato su Calabria Ora il 5 maggio 2010)